Riciclo e greenwashing “Swiss Engineering”

Temi:
Roger “Nazionale”: Il Caso greenwashing delle Scarpe On
Riciclare è davvero la soluzione?
Riciclare è giusto, ma la vera missione è evitare di farlo
Greenwashing, Chi ne Paga le Conseguenze?


Roger “Nazionale”: Il caso greenwashing delle scarpe On

Stavo per scrivere un articolo sull’importanza del riciclo (sottolineando peraltro come esso sia secondario rispetto alla biodegradabilità), quando un caso ha catturato la mia attenzione: il greenwashing delle scarpe On, promosse nientemeno che da Roger Federer, il “Santo con l’aureola” che, a quanto scrive la stampa, in realtà prende tutti quanti per i fondelli.

Finalmente, la stampa ha sollevato il velo su uno dei casi di greenwashing più emblematici degli ultimi tempi. Le scarpe On, sponsorizzate e pubblicizzate dall’ex tennista svizzero, vengono pubblicizzate come sostenibili, riciclabili e prima dello scandalo della stampa persino biodegradabili. Ma la realtà è ben diversa.

“Swiss Engineering” Una Questione di Etica

Triste, quando un miliardario, ex sportivo e persona stimata, si fa portavoce di una causa green attraverso la vendita di scarpe che dovrebbero essere riciclabili e biodegradabili. Ci aspettiamo che queste affermazioni siano veritiere: ma cosa succede quando scopriamo che tali scarpe sono in gran parte composte di plastica, al momento non riciclabile?
Si tratta di inconsapevolezza, ingenuità, o semplice menefreghismo? Oppure ancora opportunismo? A voi la scelta.
Recentemente, sono stati pubblicati studi sui polimeri utilizzati nelle scarpe On, dimostrando che il tanto decantato aspetto green esiste alla fine solo nel colore del prodotto. La realtà è un’altra: queste scarpe, vendute tramite un astuto sistema di noleggio in abbonamento, nonché marchiate come frutto dello “Swiss Engineering“, rappresentano un caso lampante di greenwashing.

Una Filiera che Lascia a Desiderare

Non solo il prodotto non è riciclabile, ma la sua produzione comporta oltre 50.000 km di trasporto globale. Le scarpe vengono realizzate tra Vietnam ed Italia da lavoratori sottopagati.
Le solite scuse legate ai subappalti e alla mancanza di responsabilità non sono più accettabili. Oggi più che mai è necessario un minimo di onestà intellettuale e, se non altro, almeno un briciolo di dignità e di rispetto verso i lavoratori e gli acquirenti.
Federer e soci si assumeranno le proprie responsabilità, o continueranno a far finta di niente?

 

Riciclare è davvero la soluzione?

Viviamo circondati dalla plastica: imballaggi, bottiglie, dispositivi tecnologici. Ogni anno ne produciamo oltre 350 milioni di tonnellate, e la cifra potrebbe raddoppiare entro il 2030. Ma possiamo davvero gestire questa crisi unicamente attraverso il riciclo?

I numeri parlano chiaro: meno del 10% della plastica globale viene effettivamente riciclata, negli USA solo il 5-6%. Il resto finisce in discariche, inceneritori o, peggio ancora, negli oceani o nelle foreste, senza calcolare, Europa, India, Cina, Russia, sud America e Africa.
Il problema principale è che la maggior parte della plastica non è progettata per essere riciclata una o più volte, senza contare inoltre che il processo è costoso ed inefficiente, quindi snobbato.

“Già dagli anni ’60, documenti dimostrano che i grandi produttori di plastica erano ben consapevoli dei limiti economici e tecnici del riciclo: tuttavia, invece di ridurre la propria produzione e investire in nuove tecniche, hanno investito milioni in campagne pubblicitarie atte a convincere i consumatori che bastasse riciclare per risolvere il problema, scaricando così su di essi la responsabilità. In questo modo, l’industria della plastica ha promosso per decenni il riciclo quale soluzione, pur sapendo che non era sostenibile: un chiaro esempio di greenwashing, usato per evitare regolamentazioni che limitassero la produzione.”

La verità è che il riciclo, da solo, non basta. L’unica soluzione efficace è ridurre drasticamente la produzione di plastica. Studi dimostrano che, adottando materiali alternativi ed implementando sistemi di riuso, si potrebbe ridurre l’inquinamento da plastica dell’80% entro il 2040. Inoltre, servono politiche governative che incentivino la riduzione degli imballaggi usa e getta, promuovano alternative sostenibili e responsabilizzino le aziende.

Il riciclo può avere un ruolo, ma non è la risposta alla crisi della plastica.

 

Riciclare è giusto, ma la vera missione è evitare di farlo

La vera sfida del presente è rappresentata dai nuovi materiali completamente organici, ottenuti al 100% da materia biologica, senza integrare polimeri sintetici-chimici eterni. Troppo spesso, infatti, si usano composti ibridi per vendere un prodotto come green, quando in realtà risultano costosi da riciclare e richiedono l’aggiunta di una quota significativa di materia nuova e inquinante, per mantenere la propria qualità. Questo crea un circolo vizioso, e se tali materiali vengono interrati, rilasciano microplastiche e PFAS dannosi sia per il suolo che per le falde acquifere.

Un aspetto cruciale sarà dato dalla fornitura di materia prima biologica. Questa dovrà provenire da filiere sostenibili, possibilmente a chilometro zero o, al massimo, entro 1000-2000 km su rotaia, evitando trasporti via mare da 30000 miglia marittime. In alternativa, dovranno essere sviluppate coltivazioni controllate, per garantire la sostenibilità delle produzioni organiche. Altrimenti, rischiamo di ripetere gli errori del passato, come è accaduto con l’olio di palma, le batterie al litio in Asia attualmente o la produzione di carne in Brasile, ove troviamo aziende che deforestano ed inquinano impunemente, con il tacito e colluso consenso delle istituzioni a beneficio di pochi. Il risultato? Disastri ambientali, disuguaglianze sociali ed un futuro compromesso anche per le prossime generazioni, inclusa la stessa prole di chi perpetua queste pratiche. Se questa non è una pericolosa combinazione di egoismo compulsivo e di stupidità, cos’altro può essere?

La sete umana di profitto sembra non avere limiti, e l’uomo fatica ad autogestirsi: fortunatamente, la natura e la scienza potrebbero ancora una volta offrire valide soluzioni. Sempre più materiali biologici stanno emergendo da laboratori: inoltre, ci sono giovani che trasformano rifiuti e scarti agricoli in risorse utili -funghi (micelio), alghe, insetti- e si dedicano ad altre pratiche innovative ancora in fase di sviluppo. Tutto questo, alimentato da fonti rinnovabili, potrebbe finalmente segnare la svolta verso una produzione davvero sostenibile e biocompatibile.

Essendo falegname di formazione, nonché cresciuto in ambienti rurali e montani, ho sempre amato il legno e gli altri materiali organici, mentre nutro una certa diffidenza per la plastica, pur riconoscendone il valore nel design e nelle possibilità di forme e di modellazione. Fortunatamente, grazie ai progressi tecnologici, oggi è possibile ottenere le stesse libertà creative anche con legno, derivati ed altri materiali organici e biodegradabili.

Anche il miglior riciclaggio non è positivo quanto l’evitare di produrre rifiuti.



Greenwashing, chi ne paga le conseguenze?

Purtroppo, a causa di alcune mele marce che sfruttano la sostenibilità come semplice strategia di marketing, a rimetterci sono coloro che realmente lottano per la causa con coscienza e rispetto. Noi di Faste crediamo in un impegno autentico e concreto per l’ambiente, e non al greenwashing come mero strumento di promozione e profitto.



Noi di Faste facciamo sul serio. Siete pronti a seguirci?

Se volete materiali realmente riciclati o biodegradabili, seguite i link sottostanti, aiutando così voi stessi, la natura e contribuendo ad un futuro migliore per i vostri cari.

Attraverso il nostro marchio Swissvan, da dieci anni integriamo materiali naturali nei nostri arredi e veicoli e, dal 2020, utilizziamo esclusivamente materiali biologici. Questo approccio ha portato a una riduzione del 98% dei rifiuti, garantendo al contempo allestimenti più salubri, ignifughi, riparabili, riutilizzabili, riciclabili e, infine, anche compostabili.
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Con FASTE ci occupiamo anche di recupero e riutilizzo-integrazione di materiali provenienti da vecchi arredi, come il legno esotico, per evitare di incentivare ulteriori disboscamenti incontrollati e ridurre l’importazione di nuove risorse. Inoltre, valorizziamo il pellame usato, recuperato da vecchi arredi e riutilizzati in nuovi prodotti, restituendo parte di dignità agli animali che, in modo forzato (omicidio legalizzato a favore del palato) hanno donato la loro pelle.



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